I pianeti a scuola

La maestra ha assegnato un bel compito per domani: “Disegna il sistema solare”. Matilde è contenta di passare il pomeriggio a disegnare, poco però le piace copiare da un libro.
Sì, perché lei un sistema solare non l’ha mai visto di persona e quindi le tocca ricopiarlo. Ma con la faccia incollata sul libro di scienze e la matita impugnata come fosse una spada, la mente di Matilde scappa, fugge via veloce e immagina che tutti i pianeti siano gli allievi di una classe spaziale in cui il Sole è la maestra. Di ogni allievo è visibile solo la testa perché il corpo è nascosto dal buio dello spazio.

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Mercurio in prima fila patisce molto il calore e infatti usa enormi quantità di crema solare ad altissima protezione. Al contrario Urano e Nettuno, lontani dal sole, sono tutti e due blu dal freddo. La Terra se la passa meglio di tutti. Né troppo lontana né troppo vicina.
E se però un giorno tutti chiedessero di cambiare posto?
E mentre pensa queste cose, la fantasia di Matilde continua a galoppare nello spazio.

La classe dei pianeti ogni mattina arriva puntuale a lezione e la maestra Sole chiama subito l’appello perché non sopporta i ritardi.
Il più distratto della classe è senz’altro Saturno che passa tutto il tempo a girare con i suoi hula-hoop, invece il più indisciplinato è Giove con la complicità dei suoi amici satelliti. Plutone continua invece a lamentarsi “Sono il più basso della classe e dovrei stare io in prima fila, non riesco nemmeno a vedere la lavagna, uffa! ” ma la maestra Sole continua a dirglielo che cambiare posto non si può proprio.
Venere è la prima della classe, sempre pronta ed è la cocca della maestra mentre Marte, la più permalosa, si morde le dita dall’invidia.

Quando la maestra decide di interrogare, tutti cominciano a tremolare, anche le stelle se la svignano. La più tranquilla, in questi casi, rimane la Terra, anzi quando si interroga lei è contentissima.

La maestra loda sempre la Terra per la sua bravura. Allora gli altri pianeti le chiedono: “Ma come fai Terra a studiare così bene e ad essere tanto brava?”. La Terra svela allora il suo segreto: le basta chiedere aiuto ai tanti scienziati, professori, dottori, primi della classe, che la popolano.

E siccome né il Sole né i pianeti hanno mai visto un suo abitante, chiedono alla Terra di mostrargliene uno. La Terra allora acchiappa il primo col naso all’insù a guardar le nuvole. Si tratta proprio di Matilde che si ritrova in un batter di ciglia e in uno sbadiglio nel bel mezzo del sistema solare.

Tutti i pianeti la scrutano con aria insospettita e per sentire la sua voce le chiedono di cantare. Matilde inizia a cantare l’unica cosa che in quel momento riesce a ricordare. E’ la filastrocca della recita di Natale di due anni prima. Strani effetti la paura!

La maestra Sole prova una profonda tenerezza guardando la piccola Matilde e si rattrista al pensiero che invece sul suo suolo non abiti nessuno. Matilde le spiega che a causa del troppo calore nessun uomo e nessuna donna vi potrebbero sopravvivere così come nessuna pianta crescere e nessun fiume né mare esistere, sempre per il troppo caldo.

La maestra Sole si rattrista così tanto da decidere di spegnersi.
– Mi addormenterò – dice ai pianeti – così che il mio calore diminuirà e potrò ospitare anch’io uomini, donne e bambini, montagne e oceani.

Tutti provano a convincerla di non farlo ma i suoi occhi lentamente si chiudono. Una notte gelida scende allora su tutto il sistema solare e sulla Terra. “Accipicchia che guaio” dice Matilde. Si avvicina alla maestra Sole assopita e le dice:
– Svegliati maestra Sole. Noi abitanti della Terra ti siamo molto riconoscenti per quello che fai. Sei per noi la zia preferita, quella che ci dice sempre sì e ci fa i regali più belli. Tu illumini le nostre giornate e fai sparire i mostri della notte. Quando ci sei tu, fa tanto caldo e dobbiamo mettere maniche corte e pantaloncini e possiamo andare al mare. Fai cantare le cicale e possiamo acchiappare le lucertole perché restano immobili a prendere i tuoi raggi. E fai essiccare i fichi, le prugne, i pomodori che sono così buoni da mangiare. E fai sbocciare le piante della nonna che ne è così orgogliosa che pensa che sia merito suo. E fai tante altre cose che io non so spiegarti perché sono piccola ma se vuoi vado dal mio papà e dalla mia mamma a farmele dire.

La maestra Sole apre gli occhi pieni di lacrime, si illumina in un gran sorriso contenta per le cose belle che fa per gli abitanti della Terra. E poi la parte della zia preferita le piace davvero tanto! E tutti gli altri pianeti della classe decidono di diventare anche loro gli zii degli uomini.
Matilde ne è molto felice ma non fa in tempo a ringraziarli che si ritrova sulla strada verso casa. Corre allora a finire il suo disegno, deve ritoccare un sacco di cose perché quello che vedi con gli occhi della fantasia, ha colori più scintillanti, parole più divertenti, facce strane e se ascolti bene bene, una musica in sottofondo che fa ballare tutti in tondo.

L’ape Rò

Ape Rò

L’ape Rò è una delle abitanti dell’alveare del Signor Fausto ma lei non lo sa e pensa di essere una delle tante api che deve occuparsi di riempire le celle e produrre miele. Oggi è molto emozionata perchè per la prima volta andrà per il mondo a raccogliere polline. Nella mischia dello sciame in partenza, l’ape Rò inizia quindi la sua avventura. Le centinaia di api in volo ronzano sonanti in cerca di fiori e pollini e mentre ognuna inizia presto a far provviste, l’ape Rò vaga esitante, rapita dalla bellezza del mondo.
Spingendosi oltre alcuni alti alberi, arriva in un prato coloratissimo. Qui non uno ma mille varietà di fiori le fanno dimenticare ogni incertezza e inizia la sua prima scorpacciata. Le sue celle iniziano presto a riempirsi, una più bella dell’altra grazie al polline speciale che riesce a scovare.

Un giorno, rientrando all’alveare, l’ape Rò trova una gran brutta sorpresa: tutte le sue celle sono vuote! Cosa può essere successo? Le sue compagne le spiegano allora che è stato il signor Fausto, il proprietario dell’alveare, a prendere il suo polline. Non è una spiegazione che la convince molto. Perché prendere il suo polline? E senza il suo permesso? Per avere delle risposte  e sopratutto per riprendersi il suo adorato polline, decide di andare proprio a casa del signor Fausto.

Giunta a destinazione, ben nascosta in un angolino della finestra della cucina, l’ape Rò vede decine di vasetti schierati sulla dispensa mentre un vasetto giace solin soletto sul tavolo. Poco ci va e l’ape Rò lo riconosce subito, è proprio il suo polline. Mentre prepara il decollo per fiondarsi sul vasetto, sente alcune voci arrivare dalle scale.
E’ il figlio del signor Fausto che rumorosamente è venuto a fare merenda con gli amici.
Tra risate, spintoni e schiamazzi, l’ape Rò vede uno di loro afferrare il vasetto con un gran cucchiaione in mano.  Vorrà di sicuro divorarselo tutto e allora volando furiosamente, lo raggiunge e pung! Punge il ragazzo che dal male non ha più voglia di mangiare.

Intanto il signor Fausto, destato dal pisolino pomeridiano, scende in cucina e inizia a organizzare il lavoro. Parla ad alta voce di una fiera che si svolgerà l’indomani in città e lui vi parteciperà per vendere il suo miele. Poi prende tra le mani il vasetto, proprio quello che gli amici di suo figlio volevano svuotare, lo guarda soddisfatto e dice: « Tu sarai il mio fiore all’occhiello perché nessuno può dire di aver visto un miele così bello prima d’ora!»

L’ape Rò origlia e rizza le antenne: “Portare il mio polline ad una fiera?” – pensa – “Mai! Non lo permetterò mai!” e decide di rimanere a fare la guardia per tutta la notte così che, alla prima occasione, potrà portar via il suo polline. Il giorno dopo, di buon’ora, il signor Fausto carica tutto il miele, ma proprio tutto, in macchina e si prepara a partire. L’ape Rò che si era appisolata giusto un momento, svegliata dal rombo del motore, ronza veloce a nascondersi in una delle ceste accanto al suo vasetto di polline. E via, di corsa in fiera!

L’ape Rò non pensava potesse esistere un posto più rumoroso del suo alveare! In fiera c’è davvero tanta confusione, voci, musica, coccodè e chicchirichì!
E poi in continuazione gente che si avvicina al banco del signor Fausto per chiedere di comprare lo speciale vasetto di polline. Che brividi per l’ape Rò! Ma per fortuna il signor Fausto non sembra avere intenzione di venderlo. Sul più bello arriva però il principe Romiero che, come ogni anno, viene a fare scorta di miele. Circondato da gente che lo chiama e lo acclama,  si avvicina al banco del signor Fausto.

Neanche a dirlo, non appena il principe vede il vasetto con il polline dell’ape Rò, inizia ad insistere per averlo. E se è il principe a chiederlo, Fausto non può di certo tirarsi indietro e a malincuore, decide di regalarglielo. L’ape Rò a momenti sviene. Si riprende giusto in tempo per rincorrere il principe che se ne va con il suo polline e pur nella confusione, riesce a infilarsi nella sua borsa.

Uscito dalla fiera, il principe Romiero con la sua borsa, il vasetto di miele e l’ape Rò a seguito, continua la sua giornata di impegni e appuntamenti. E poi finalmente a casa giusto in tempo per una gustosa merenda di pane e miele, proprio di quel miele appena avuto in regalo. Mentre qualcuno porta il vasetto in cucina, lo apre e lo spalma in abbondanza su una lunga fetta di pane, l’ape Rò comincia ad arrendersi e a pensare che non riuscirà mai più a riavere il suo miele.

Sale allora sull’orlo del vasetto e si abbassa per ammirarlo un’ultima volta. Ma sarà per la stanchezza, sarà per la tristezza, l’ape Rò ha un capogiro e in un battibaleno precipita nel vaso. Cerca di risalire ma non ci riesce, si dimena con le zampe, le ali, persino le antenne e finalmente riesce ad uscire.  Ma non è ancora tutto finito perchè ora sta accadendo qualcosa al suo corpicino. E’ come se qualcuno la stesse tirando da ogni parte, per le zampe, la testa, le ali. E quando si guarda per vedere se è tutto a posto, scopre che non è più un’ape ma una donna, una giovane donna dai lunghi capelli biondi!

Proprio in quell’istante arriva il principe Romiero che, credendola parente della governante, si presenta e le offre la merenda. Tra i due nasce l’amore e presto si sposano. Romiero diventa un rinomato apicoltore. Nessuno conosce il suo segreto ma sembra che sua moglie, chissà come, sappia fiutare i pollini migliori in ogni angolo della terra.

Un pesce di nome Paddy

Quando Piera scrive una storia, gli angeli della circoscrizione arrivano come se sentissero il suono di un campanellino.

angeliArrivano anche oggi, non appena Piera si siede davanti al computer. Ma la storia non esiste ancora e allora, indispettiti, iniziano a far scherzetti. E così Piera inspiegabilmente non sa più da dove iniziare, e quando inizia dimentica ciò che voleva scrivere. « Ma cos’è che volevo dire?», scrive e cancella, « Ma no! non volevo parlare di questo!». Poi butta giù qualche parola, sembra che la storia fili bene: è la storia del pesce padella che pur di fare la parte della padella, rischia di finire alla griglia. Ma ecco che sul più bello tutto si spegne, il pc va in tilt. Aveva salvato? Che guaio! Piera é davvero arrabbiata, forse fare due passi le farà bene. Ed esce. angeli_2

Ora si sentono in colpa gli angeli birbanti e notando il computer acceso decidono di farsi perdonare. Decidono cioè di continuare la storia. Si siedono e cominciano a scrivere . Tutto incomprensibile. Sì, perché l’alfabeto degli angeli è diverso dal nostro e allora smanettano un po’ (apri finestra, clicca, disattiva, attiva, ok, salva) e riescono a trovare il sistema giusto. È un lavoro di squadra: il primo detta, il secondo scrive, il terzo inventa, il quarto corregge. Riprendono da dove Piera ha interrotto. Ricordate? La storia di pesce padella che per dimostrare di essere come una padella, rischiava a momenti di finire alla griglia.

Pesce padella ne era convinto al cento per cento di essere una padella. E lo diceva a tutti in mare: «Io sono resistente come l’acciaio inox. Vedete le squame come sono lucide? Sono come fibre super resistenti». Gli altri pesci al sentirlo parlare se la svignavano. E lui se ne andava sempre in cerca di qualcuno disposto a dargli retta.

Un giorno pesce spada decise di metterlo alla prova: «Se è come dici tu che puoi essere una padella, dimostracelo. In spiaggia un gruppo di ragazzi non sa come fare le caldarroste. Forse allora potrai aiutarli tu, vero?». Pesce padella entusiasta per questa sfida, fece qualche piroetta e partì a razzo.

Giunto sulla spiaggia, si avvicinò ad uno dei ragazzi e gli disse:«Ehi giovane cerchi forse una padella?» e il ragazzo rispose: «Si perché? Puoi procurarmene una tu?» e si mise a sghignazzare con i compagni. Super P (perché  ora così si sentiva) non diede peso alla sua ironia e si propose: «Certo amico! Eccomi, sono a tua disposizione!» e si spiattellò a terra. «Su prendimi», gli diceva «Mettimi sul fuoco con sopra le castagne e vedrai se non sarò meglio del rame». Il ragazzo ora rideva ancora di più e così tutta la combriccola. Poi si avvicinò ad uno dei suoi compagni e gli disse sottovoce: «Mica male come idea! Che ne dici se invece di castagne rimediamo una bella grigliata di pesce?»

Ahi Ahi! Le cose si mettevano male per super P. Per fortuna pesce spada che aveva preparato la missione ma senza perdere di vista il suo uomo, fece un tale salto in acqua che gli schizzi spensero il fuoco e bagnarono i ragazzi, i quali pensando ad un maremoto scapparono di gran lena. Super P ne approfittò per rituffarsi. Giunto sano e salvo in acqua, pesce spada lo rimproverò: «Hai visto testone? Ci stavi rimettendo la pelle. Sai cosa volevano farne di te?»

Pesce padella che non si sentiva più super P, appariva un tantino abbattuto. Non sopportava che la sua missione fosse fallita, che qualcuno aveva dovuto salvarlo e che davanti a quel fuocherello si era accorto di aver sudato parecchio. Non era allora poi così resistente? Acciderboli che figura! Ma pesce spada non stette a rimproverarlo oltre, anzi vedendolo abbacchiato lo consolò: «Comunque devo ammettere che in fondo avevi ragione. Ti ho visto sai, davanti a quel fuoco. Resistevi bene. Io sarei dovuto scappare immediatamente e invece tu, sei rimasto lì per almeno dieci minuti. Bravo! Mi hai convinto. Hai la pellaccia più dura della nostra».

Pesce padella era contento di sentire questi elogi anche se dentro di sé non aveva più dubbi: basta col voler essere una padella, d’ora in avanti avrebbe pensato solo a starsene al fresco del suo fondale. Tutti gli altri pesci che seppero dell’accaduto lo accolsero a braccia aperte, organizzarono una festa a sorpresa e gli consigliarono di cambiare nome così da non dover più ricordare la brutta avventura.

Ottima idea. Un nuovo nome era proprio quello che ci voleva! «Cosa ne dici di Paddy», proposero i suoi amici. Pesce padella se lo ripeté dieci volte per sentire come suonava e all’undicesima, lo trovò fantastico. Si, si sarebbe chiamato proprio pesce Paddy.

Nei giorni seguenti gli sembrava di essere rinato, di avere cambiato pelle. Il suo nuovo nome gli piaceva tantissimo e lo faceva sentire un po’ inglese anzi britannico. Prese libri per raccogliere informazioni sui mari inglesi, sulla storia della Gran Bretagna, sulla loro lingua. E gli venne in mente un’idea straordinaria. Quale? Ecco mentre la diceva ai suoi amici: «Ragazzi, io presto partirò. Voglio attraversare tutti i mari per andare in Inghilterra. Yahoo!» esultava. «Sento di appartenere a quel popolo e il nome Paddy me lo sento troppo mio.» Paddy

E allora tutti i giorni, ma proprio tutti, se ne andava in giro a cercare mappe e a preparare la partenza. Nessuno però credeva che sarebbe partito davvero perché la distanza era enorme. Mettendo il caso che ora si trovasse al largo di Palermo, avrebbe dovuto attraversare tutto il Mediterraneo, circumnavigare la Spagna dall’oceano Atlantico e poi su, fino alla Manica. Non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare intero.

Gli amici così decisero di intervenire. Non volevano che si mettesse in altri guai e per questo iniziarono a coinvolgerlo in un sacco di attività così da non trovare più il tempo di pensare al suo viaggio. E Paddy diceva: «Amici facciamo nel pomeriggio, ho da preparare il viaggio». E subito loro: «Rimandare il torneo? Impossibile, si sono liberati tutti per la mattinata e lo stadio è pieno. Avanti fuori di qui». Poi gli davano giusto il tempo di riposare un po’ e nel pomeriggio qualcun altro lo andava a chiamare per aiutarlo a costruire il recinto e poi a dipingere un muro e poi per una partita a dama e a pallone, insomma alla sera Paddy era sfinito, senza la minima forza per aprire una mappa o leggere due righe.

Però una sera mentre tornava a casa col suo amico pesce spada, gli disse: «Sono contento di stare con voi tutto il giorno ma sono preoccupato perchè non ho più tempo per preparare il mio viaggio e non so come farò quando arriverà la corrente giusta per partire». Allora pesce spada ebbe un guizzo: «Perché non scrivi su un quaderno i tuoi progetti? Così leggendo ti ricorderai quello che devi fare. Un promemoria insomma o giù di lì».

L’idea era geniale e Paddy ringraziò pesce spada che sembrava essere diventato il suo angelo custode (perché ultimamente aveva sempre la soluzione ai suoi guai). Quella sera non si lasciò prendere dal sonno e scrisse un bel po’. All’inizio erano solo appunti, cosa fare domani, trovare questo, quello, poi iniziò a immaginarsi la partenza, la traversata, l’arrivo, gli incontri, le avventure. Insomma delle vere e proprie storie. La sera non vedeva l’ora di sedersi allo scrittoio e immergersi nel viaggio, tanto che non sentiva più la smania di partire per davvero. E poi queste storie iniziò a leggerle agli amici. Che divertimento! E il suo viaggio diventava il viaggio di tutti. Fine della storia di Piera.

Giusto il tempo di mettere il punto finale che i quattro angeli sentono aprire la porta di casa: è Piera che rientra. La passeggiata le ha fatto proprio bene ed è pronta per ricominciare a scrivere. Ma non appena si avvicina alla scrivania, si accorge che il computer non solo è acceso ma la pagina che aveva lasciato quasi bianca è ora piena di frasi. Legge allora la storia e la trova molto divertente, quasi uguale a quella che avrebbe voluto scrivere lei. «Mah!» pensa «Sarà stato il mio angelo custode!»

Gli angeli intanto soddisfatti e ‘ridacchioni’ per questo scherzetto vanno via commentando «Colpito nel segno! Su una cosa si sbaglia però: non è uno ma ben quattro angeli custodi!»